Il concerto del primo maggio compie vent’anni e decide di farsi un regalone!
E in campo musicale non può esserci regalo più grande del ritorno, dopo dieci anni, del rocker italiano Vasco Rossi sul palco di Piazza San Giovanni.
Il Blasco nazionale, infatti, impreziosirà la manifestazione dedicata ai lavoratori, esibendosi per 40/45 minuti. La sua presenza assume poi ancor più valore, se si considera che quella del primo maggio sarà l’unica apparizione dell’artista in questa primavera.
Vasco lancia anche il tema artistico di questa edizione del concerto, intitolato “Il mondo che vorrei” (sinonimo di speranza e fiducia, in un contesto pessimista e lugubre come quello odierno), che è anche il nome della raccolta fondi che è stata istituita per assegnare borse di studio in favore degli orfani delle vittime sul lavoro. Da sottolineare il gesto dell’artista romagnolo, il quale ha donato 100.000 euro per la causa, nell’intento anche di sollecitare una maggiore attenzione nei confronti di questo problema, molto spesso sottovalutato.
A fare gli onori di casa in questa ventesima edizione sarà un grande attore come Sergio Castellitto, il quale accompagnerà sul palco una miriade di artisti.
Ed infatti, se Vasco Rossi rappresenta senza dubbio la ciliegina, bisogna però tener conto che anche la torta non è niente male! Si alterneranno sul palco, tra gli altri: il rapper Caparezza, i leggendari Nomadi; ed ancora Edoardo Bennato, Motel Connection, Asian Dub Foundation. Passando per un singolare gruppo, composto dai rappresentanti di alcune band italiane, tra cui Manuel Agnelli degli Afterhours, Gianni Maroccolo e Cristiano Godano dei Marlene Kuntz… Commistione che risulterà di certo azzeccata e vincente.
Le premesse ci sono tutte dunque, per dar vita ad uno spettacolo che, siamo sicuri, richiamerà gli amanti della buona musica, sia in Piazza san Giovanni a Roma, che alla tv, con la consueta diretta su Rai Tre. (ore 15:15 – 24).
Che lo show abbia inizio!
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sabato 18 aprile 2009
venerdì 17 aprile 2009
La Cantina del Vinile: Peter Frampton

Quante volte le teenagers hanno staccato il poster del loro cantante preferito dalla rivista musicale o dal magazine che sfogliavano?? Le rappresentanti del gentil sesso a questa domanda negheranno l'evidenza. Questa idolatria cartacea non derivava solo dalle qualità artistiche del personaggio ma anche dal suo aspetto esteriore. Alla metà degli anni settanta, un cantante polistrumentista britannico abbinava queste due peculiarità raccogliendo consensi non solo tra le ragazzine ma anche tra i critici musicali grazie al suo rock leggero e talentuoso. Stiamo parlando di Peter Frampton, cantante che ha lasciato un segno indelebile nella musica rock degli anni ’70 e che come tutti i grandi artisti ha avuto una vita molto travagliata. Bancarotta, problemi di droga e un grave incidente stradale hanno segnato la sua vita senza però interferire nella sua straordinaria discografia.
Le sue prime performance giungono con i The Herd e poi con gli Humble Pie, band che si fanno apprezzare per il loro hard rock. Dopo queste esperienze, nel 1971 il poliedrico Peter decide di intraprendere la carriera di solista che lo porterà a diventare uno dei maggiori punti di riferimento per gli amanti della musica pop rock dell’epoca. Introduce un nuovo apparecchio musicale, il talk box, strumento che permette di cambiare il suono della chitarra con il movimento della propria bocca. Incide tre album in successione che gli consentono di farsi conoscere e soprattutto, di preparare il terreno a ciò che stava per giungere. Un colpo di genio si abbattè nel 1976 nel panorama musicale internazionale: Frampton comes alive!, album registrato in un concerto a San Francisco, che conquistò 6 dischi di platino tanto da essere, ancora oggi, il quarto album live più venduto nella storia. Brani come Show me the way e Do You Feel Like We Do, lasciano una sensazione di benessere e allegria all’ascolto, ricalcando i suoni del rock, arricchito di virtuosismi di pregevole fattura. Ancora oggi, i suoi concerti lasciano a bocca aperta annoverando tra i suoi fans, vecchi nostalgici e giovani scopritori della sua musica. Ma un brano che "sgomita" tra i suoi successi, facendo irruzione tra le diverse generazioni, è la sempreverde Baby, I love your way, brano che non si può descrivere ma si può solo ascoltare lasciandosi trasportare dalle emozioni che la voce di Peter Frampton regala. A voi la conferma!
mercoledì 15 aprile 2009
Il Glam Rock

Quello degli anni ’70 è stato senza dubbio il decennio più importante, il più prolifico per la musica Rock mondiale.
Sebbene infatti, si aprì con la fine del gruppo che ne aveva costituito le fondamenta e ne era il simbolo indiscusso (i Beatles infatti si sciolsero proprio nel 1970), fu poi un continuo susseguirsi di sottogeneri, di nuovi sound e stili che si crearono in questi dieci anni e che avrebbero influenzato tutta la musica degli anni seguenti, fino ai giorni nostri.
E proprio agli inizi di questo decennio nacque questo nuovo fenomeno chiamato Glam Rock.
Si sviluppò soprattutto nel Regno Unito (poco negli Stati Uniti che non ne apprezzavano a fondo lo stile) e a darne il nome fu proprio la parola a cui si ispirava, il Glamour.
Fantasiosi ed eccessivi costumi di scena, lustrini, piume, paillettes, trucco pesantissimo ed una spiccata ambiguità sessuale, questo, almeno esteticamente, caratterizzava il Glam.
E la musica? -Vi chiederete-. Beh, la musica rispettava esattamente quello che era il profilo estetico: un Rock, a volte anche duro, talvolta eccessivo negli arrangiamenti ma capace di regalare anche delle splendide ballate con dei testi sbarazzini, incentrati su temi perlopiù adolescenziali, sul divertimento, sulla fama ma anche sull’amore e sul sesso.
Fondatore, capostipite di questo “movimento” musicale fu un certo Marc Bolan, ex modello, cantante e chitarrista dei T-Rex. Fu lui il primo a ricercare una certa teatralità nel cantare, nel rappresentare le sue canzoni. Album come “Electric Warrior” del ’71, ma soprattutto “The Slider” nel ’72 segnarono il debutto del Glam. E fu subito un successo colossale, paragonabile in Inghilterra solo a quello dei Beatles. Canzoni stupende come “Metal Guru”, “Children of The Revolution”, “Cosmic Dancer” fecero esplodere veri e propri episodi di isteria tra i fan e soprattutto le fan di Bolan, che lo adoravano, forse anche perché si rivedevano un po’ in lui, nel suo modo di fare, nel suo modo di vestirsi.
E le classifiche dell’epoca traboccavano di Glam!
Un altro esponente, quasi co-fondatore del genere, fu David Bowie. Proprio lui, il Duca Bianco, che nel ’72 pubblicò l’album “The Rise and Fall of Ziggy Stardust and The Spiders from Mars” e contemporaneamente diventò lui stesso Ziggy Stardust, improbabile personaggio, dai capelli rossi e dai costumi coloratissimi, sessualmente molto ambiguo, icona ed essenza del Glam stesso (nel video con "Starman").
Rappresentava, insieme ai Roxy Music di Bryan Ferry e Brian Eno, un’altra faccia di questo genere musicale, con un suono più ricercato e dei testi molto più ambiziosi.
Altre band e cantanti furono comunque in egual misura grandi interpreti del fenomeno: Velvet Underground, Slade, Sweet, Mott The Hoople (prodotti dallo stesso Bowie in “All the Young Dudes”), Elton John. E gli americani New York Dolls, Alice Cooper, Kiss e Iggy Pop.
Fino ad arrivare agli stessi Queen, almeno nella fase iniziale della loro carriera, che coincise con la fase discendente del Glam, del quale comunque furono esponenti di rilievo. Come dimenticare infatti, un giovanissimo Freddie Mercury in calzamaglia e paillettes, interpretare pezzi di straordinaria bellezza come “Bohemian Rhapsody”,”We Are The Champions” e “Somebody To Love”?(Per citarne solo alcuni di una immensa produzione).
Con i Queen ed il loro essere eccessivi e teatrali sia nelle musiche e negli arrangiamenti, fin troppo elaborati, che nelle esibizioni live, forse si giunse al culmine del Glam.
E con loro, intorno al ’76-’77 ebbe fine questo fenomeno, almeno come lo era stato concepito inizialmente.
La maggior parte di questi gruppi infatti si reinventarono cambiando stile, avendo ormai il Glam Rock, dato al mondo della musica tutto quello che poteva dare. Lasciandoci però in eredità uno straordinario pezzo di storia della musica che oltre ad influenzare in seguito, numerosi cantanti (come Def Leppard, Pulp, Suede, Darkness, Mika, Scissor Sisters, e purtroppo anche i Tokyo Hotel), continua ancora ad emozionarci ad ogni ascolto, facendoci rivivere quegli anni rivoluzionari, che furono gli anni ’70.
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venerdì 10 aprile 2009
Renato Zero risponde "Presente"

Diciamo la verità: tutti quanti noi, amanti della buona musica, un po’ “sorcini” in fondo lo siamo… Chi più, chi meno, ma lo siamo un po’ tutti!
E non c’è poi tanto da meravigliarsi, visto che si parla di Renato Zero, un grandissimo della musica italiana. Ed infatti, il cantautore romano, nell’olimpo dei mostri sacri, vi è sempre stato. Sin dagli esordi, quando rappresentava quel “qualcosa di ambiguo e di diverso” che allo stesso tempo stupiva ed affascinava.
Da allora tante cose sono cambiate. Il viso truccato e gli abiti alquanto bislacchi hanno lasciato il posto ad un vestiario più canonico e più sobrio.
Ma un aspetto è rimasto invariato: l’essere un leader.
Renato Zero è uno di quegli artisti a tutto tondo; uno di quelli che non passa mai inosservato e che ha sempre qualcosa da dire… E che è capace di dirlo bene, nel modo giusto, efficace.
I temi trattati nelle sue canzoni non sono mai banali, mai scontati, ma al contrario sempre attuali e coinvolgenti.
E poi Renato Zero può vantare una capacità interpretativa eguale a pochi altri suoi colleghi. Lui non canta… Lui recita!
E proprio quel suo modo di muoversi, di interpretare, e quelle sue moine facciali sono lo strumento con cui riesce ad imprimere spessore e qualità ad ogni sua esibizione. Ed è questo che lo fa amare e addirittura venerare dai suoi tanti, tantissimi fans.
Fans che oggi possono tornare ad emozionarsi, perché il loro beniamino è tornato sulla scena musicale con “Presente”, suo ultimo lavoro, comprendente 17 inediti.
Da segnalare anche il fatto che per la prima volta Renato Zero è senza casa discografica. Dopo aver rescisso il contratto con Sony-Bmg, ha deciso di fare tutto da solo; e questa sua operazione è senza dubbio ardita e rischiosa (soprattutto per quanto riguarda l’opera di promozione e distribuzione!). Vedremo se Il Re dei sorcini riuscirà nella sua ennesima sfida.
Di una cosa siamo certi: i suoi seguaci non gli volteranno certo le spalle e saranno pronti a seguirlo numerosi nei vari concerti in cui il Renato nazionale promette scintille!
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mercoledì 8 aprile 2009
La Cantina del Vinile: Cliff Richard

Nella nostra cantina abbiamo recuperato un “cavaliere” che cavalca la scena internazionale da più di 50 anni.Non stiamo parlando di un fantino ma di un baronetto, Sir Cliff Richard, pseudonimo di Harry Rodger Webb, cantautore britannico nato in India nel 1940 e insignito del titolo onorifico nel 1995 dalla Regina Elisabetta. Sua Maestà avrà avuto ragioni più che valide per scomodarsi così tanto.
Collocare Cliff Richard in un preciso genere musicale è più arduo che far giocare insieme Rivera e Mazzola. La sua carriera è stata influenzata da episodi che lo hanno modificato artisticamente e interiormente.
Con la sua band, gli Shadows, dominò la scena tra la fine degli anni cinquanta e inizio anni sessanta subendo il ciclone Elvis che lo portò a scalare la vetta delle classifiche con il brano rock Move It . Ma l’avvento dei Beatles e la sua conversione al cristianesimo, provocò un’ involuzione nei suoi lavori musicali. Infatti, per due anni salì sul podio dell’Eurofestival, competizione canora molto simile alla Coppa delle Coppe, in cui partecipava un cantante per ogni nazione (Toto Cutugno ne sa qualcosa). Nonostante tutto, le vendite continuavano a premiare il buon Cliff.
Fortunatamente, nel 1975 decise di intraprendere un ennesimo percorso musicale che lo portò a realizzare brani pop-rock come Devil Woman, Dreamin’ e soprattutto We Don’t Talk Anymore (1979), ballata romantica caratterizzata da sonorità dance che divenne hit in Europa e negli Stati Uniti. Come se non bastasse, dal pop passò a dei brani molto più mielosi, mutamento che non placò l’affetto dei suoi fedelissimi fans che ancora oggi lo venerano come una vera e propria star. Ma a noi piace ricordare Cliff Richard mentre canta il suo successo ripetendo: "è così divertente il modo in cui non ci parliamo più, ma non sto perdendo il sonno nè contando le pecore…"
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