lunedì 27 aprile 2009

La Cantina del Vinile: Roy Orbison


La musica ha il dono innato di poter dare sempre "voce" a qualsiasi interprete in ogni momento della vita. Un personaggio molto sottovalutato dalla critica e riconsiderato successivamente può identificarsi in Roy Orbison. Per aiutarvi nel riconoscimento di questo artista è sufficiente dire che è l'interprete del brano Oh, Pretty Woman (1964) che ora, probabilmente, starete canticchiando nella vostra testa ripercorrendo le scene di Richard Gere e Julia Roberts. Ma interrompo il vostro trailer cinematografico psichico focalizzando l'obiettivo sulla carriera di questo grande cantautore dall'aspetto fisico molto simpatico e poco attraente (fattore discriminatorio nella musica).
Nato nel 1936 in Texas, trova nella chitarra la sua compagna di mille avventure. Riesce a ritagliarsi uno spazio nel rock degli anni sessanta subendo la popolarità di Elvis, il quale aveva una stima fortissima verso il "collega" Roy. Ma nonostante questo, incide successi come Only The Lonely, In Dreams e la stessa Oh Pretty Woman. Proprio in quel decennio, quando la sua carriera stava per decollare, una serie di tragedie familiari lo colpiscono. Nel 1966, Roy e sua moglie Claudette escono per una passeggiata in sella alle proprie moto. Ma Claudette ha un grave incidente e muore. Due anni dopo, perde due dei suoi tre figli, coinvolti in un incendio divampato nella sua abitazione. Comincia ad attraversare un periodo poco felice che si ripercuote anche sulla sua vita artistica. Gli anni settanta sono un lento declino. Si dedica alla musica country suonando nei locali di Las Vegas e cerca di riprendersi con degli album che hanno un discreto riscontro solo in Europa. Ma come accade spesso, una giustizia divina lo fece tornare alla ribalta negli anni ottanta. Bruce Springsteen, Tom Waits ed Elvis Costello, suoi grandi fans, gli tributano un concerto a Los Angeles nel 1987 e da questo evento nasce un cd A black and white night. Nello stesso tempo si assiste a una sua rinascita e a una nuova scoperta per chi non l'aveva conosciuto negli anni sessanta.Nel 1988 fonda il gruppo dei Traveling Wilburys insieme a Bob Dylan, Tom Petty, George Harrison e Jeff Lynne che celano al pubblico la propria identità dietro il nome della band. E nel 1989 registra il suo album di maggior successo Mistery Girl dove sono presenti collaborazioni con Tom Petty, George Harrison, Bono e The Edge. Ma il 6 dicembre del 1988 anche la sfortuna torna a ricordarsi di lui. Un infarto spegne la voce di uno dei pionieri del rock e lascia un velo di amarezza e rimpianti a chi ascolta il suo album uscito postumo nel 1989. Le vendite dell'album lo portano nuovamente sulla scena internazionale trascinato dalle hits You Got It (nel video) e She's a Mystery to Me (brano scritto con Bono) e questo non può che rendere onore a un grande della musica: Roy Orbison.


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sabato 25 aprile 2009

Il Grunge dei Pearl Jam


Dopo aver lasciato un po’ di spazio al gentil sesso, torniamo adesso ad occuparci del Rock, quello duro, dove l’uomo comunque occupa un posto predominante (spero non pensiate che io sia misogino, ma obiettivamente questa è la sacrosanta verità!).
Ed in particolare parliamo dell’uomo rude! Aggettivo molto azzeccato credo per identificare i componenti della band di cui sto per parlarvi, e più in generale di tutti gli interpreti di un movimento musicale, nato verso la fine degli anni ’80, nella città di Seattle (Nord-Ovest degli Stati Uniti): il Grunge.
Musicalmente ispirati dallo stesso Punk Rock e dall’Hard Rock, le band Grunge (letteralmente “Sporco”) avevano un look molto trasandato costituito di solito da jeans stracciati, camicia di flanella e capelli lunghi.
Il maggior successo commerciale, sicuramente fu rappresentato dai Nirvana, anche dopo la morte del leader Kurt Cobain. Ma insieme a loro (e forse più di loro) un altro gruppo fece la storia di questo fenomeno musicale: i Pearl Jam.
Sebbene i temi trattati nei testi ed il sound che caratterizzarono questa band furono perlopiù simili a quelli degli altri gruppi grunge, il valore aggiunto che li contraddistinse fu apportato sicuramente dal carisma del suo leader: Eddie Vedder.
Faceva ancora il benzinaio Vedder, quando Jeff Ament, Stone Gossard e Jack Irons in cerca di un cantante, lo contattarono proponendogli alcune loro canzoni. E ne rimasero impressionati quando videro i testi che lui aveva scritto proprio per quei pezzi.
Dopo poco il gruppo era formato. Era il 1990 quando i Pearl Jam iniziarono la loro avventura musicale. Avventura che ancora continua, nonostante nel frattempo ci sia stata qualche defezione.
Mentre risale al ’91 il loro primo album, “Ten”. Che non fu subito molto apprezzato, anzi esplose solo l’anno seguente, raggiungendo i primi posti delle classifiche americane.
Singoli come “Alive” e “Jeremy” ebbero un enorme successo fino a far diventare il disco che li conteneva uno dei più venduti della storia del Rock.
E di grande successo furono anche i due album seguenti “Vs.” e “Vitalogy”, entrambi numeri uno nelle classifiche.
L’inizio del “declino”(perlomeno commerciale) arrivò con il quarto album “No Code”, il quale segnando un certo cambiamento stilistico nella band, non accettato di buon grado da alcuni fan, raggiunse anch’esso il primo posto in classifica, ma non vendette quanto i precedenti album.
E la crisi nelle vendite continuò anche nelle seguenti produzioni, fino ad arrivare all’ultima che risale al 2002, “Riot Act”.
Disco quest’ultimo che segnò un ulteriore cambiamento sia nel sound, molto più folk, che nei testi, ispirati soprattutto da temi politici. Da ricordare in quest’album, comunque di ottima fattura nel suo complesso, lo splendido singolo “I am mine” (Video).
Come fecero i Clash, anche i Pearl Jam si contraddistinsero per il loro costante impegno sociale, sia con iniziative benefiche che attraverso l’impiego di prezzi non troppo alti per i biglietti dei loro concerti. E impegnandosi poi, soprattutto con l’ultimo album, in campo politico, scherandosi apertamente contro il presidente degli Stati Uniti George W. Bush e appoggiando nelle elezioni lo schieramento opposto.
Sono passati sette anni da “Riot Act” e ancora aspettiamo con ansia un nuovo lavoro dei Pearl Jam, rinfrancati però nel frattempo da vari album live e da escursioni soliste da parte di Eddie Vedder, soprattutto nel campo cinematografico, dove lo ritroviamo ad esempio nella colonna sonora (da lui scritta e cantata) del meraviglioso film di Sean Penn “Into The Wild”.
Non si tratta in questo caso, del sound tipico al quale ci aveva abituati, ma di canzoni molto più melodiche e strumentali che si adattano perfettamente all’atmosfera del film.
Musiche comunque di straordinaria bellezza, che ci fanno ancor più comprendere il valore artistico di questo interprete, che insieme alla sua band ha dato e darà ancora tanto alla musica rock mondiale.



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giovedì 23 aprile 2009

Il mondo surreale di Malika Ayane


Per parlare di questa giovane artista trovo che non ci siano parole più azzeccate di quelle che per lei ha speso un maestro della musica italiana, Paolo Conte.
Il quale, appunto, riferendosi a Malika Ayane, ha dichiarato: “Nel suo stile modernissimo ed insieme arcaico insinua una linfa moresca che ne inquieta nascostamente le movenze. Il colore di questa voce è un arancione scuro, che sa di spezia amara e rara”. Dinanzi a tal espressione, chiniamo il capo e… Chapeau!
Penso che le immagini così seducenti e incantevoli che Paolo Conte ha elaborato per questa giovane artista siano il commento più veritiero e poetico che le si possa dedicare.
Personalmente, sono rimasto colpito sin dalla prima sera in cui ha debuttato al Festival di Sanremo 2009. Ricordo chiaramente che l’ora era tarda… Ma quella ragazza che scendeva le scale muovendosi in modo così “artistico”, indossando un costume anni ’70 e guadagnando circa 15 cm in altezza grazie a quel paio di scarpe così esagerate, (ma che allo stesso tempo erano il puzzle mancante di una figura bizzarra e originale: la sua appunto!), non passò di certo inosservata.
Si presenta con la canzone "Come Foglie". Leggo l’autore: Giuliano Sangiorgi… La musica comincia… E sin dalle prime note qualcosa mi dice che il brano sarebbe stato di mio gradimento. Ma quella sonorità così piacevole si impreziosisce, dopo qualche secondo, di un quid aggiuntivo: quel timbro di voce che, proprio come la metafora utilizzata da Paolo Conte, innalza la mente, accompagnandola a gustare sapori forti, intensi…
Non nego minimamente di aver sperato fortemente che questa giovane artista vincesse la manifestazione (aggiudicata invece da un alieno buffo e surreale comparso sul palco dell’Ariston, cantando una filastrocca al quanto imbarazzante…). Ma di questo non ci si meraviglia più, visto che di orrori, nella storia del Festival, ne sono stati commessi a iosa!
La rivincita però, come prevedibile, non ha tardato ad arrivare. Oggi Malika Ayane è richiestissima nei programmi televisivi, e la sua canzone è presente nelle playlist di ogni canale radiofonico.
La sua interpretazione di “Come foglie” incanta e allieta per tutta la durata del brano… Malika Ayane non si limita a cantare, ma è come se fosse assorbita da un mondo parallelo in cui esistono solo lei e il microfono… Tutto il resto sembra scomparire, dissolversi.
Durante l’esibizione, le sue braccia compiono movimenti ondulatori, buffi ma eccentrici (tanto da esserle costata un’esilarante imitazione nel programma “Mai dire…”), che però si sposano perfettamente con quella voce da brivido, fino a fondersi in un turbinio di magnetiche suggestioni.
Da notare che, già prima del Festival, Malika è stata protagonista anche dell’estate 2008, cantando il tormentone “Feeling Better”, brano aromonioso e divertente che ha spadroneggiato nelle radio, per tutta l’estate scorsa, appunto.
Ultimo dato non da poco: il nuovo lavoro della giovane artista, intitolato proprio “Malika Ayane”, è un prodotto qualitativamente elevato, al quale hanno deciso di collaborare diversi autori, tra cui Pacifico (autore dei brani “Sospesa” e “Controvento”), Giuliano Sangiorgi (“Perfetta” e “Come foglie”), nonché il maestro Paolo Conte, che ha scritto per lei “Fandango”. Il disco inoltre si avvale anche dei contributi artistici di alcuni importanti nomi dell’ambiente musicale internazionale: Tom Elmhirst, Tony Cousins, per citarne alcuni.
Credo dunque che sia un peccato privarsi della buona musica che Malika è in grado di offrirci. Del resto, dinanzi ad una grande voce, ad un’intensa interpretazione e a raffinati autori, non si può far altro che chiudere le porte al caos esterno e “perdersi” in un bagno d’emozione…
Un piccolo suggerimento a Malika e alla sua casa discografica: riproporre il brano “Come foglie” in una nuova versione, in cui partecipi anche l’autore della stessa, Giuliano Sangiorgi. Siamo convinti che il connubio tra le voci, così caratteristiche e pregevoli, dei due artisti farà acquisire alla canzone (già stupenda di suo) maggiore spessore e qualità.
Grazie!


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martedì 21 aprile 2009

La Cantina del Vinile: Carly Simon


Era doveroso dare spazio a una donna. E per non innalzare un coro di proteste del sesso maschile ci siamo subito prodigati per sopperire a questa mancanza inopportuna. Questa volta ci occupiamo di una pop star che ha fatto la storia della musica internazionale e il cui nome è presente nella Hall of Fame. Carly Simon, vi dice nulla? Se avete difficoltà, cercheremo di venire incontro al vostro orecchio musicale che non farà fatica a rammentare la sua musica e anche la sua classe. Donna splendida, elegante, carattere forte, cantautrice di spessore internazionale fu protagonista del gossip internazionale negli anni '70 e '80. Carly Simon nacque nel 1945 a New York, iniziò la sua carriera artistica in coppia con la sorella Lucy, formando le Simon Sisters. Ebbero un discreto successo fino a quando Carly, nel 1971, non decise di dare vita a una carriera da solista. La sua musica fu apprezzata fin da subito tanto da guadagnarsi i consensi del pubblico già con il suo album d'esordio That's the Way I've Always Heard That Should Be e un Grammy come rivelazione dell'anno con l'album Anticipation. Ma il 1972 fu l'anno che la consacrò a livello internazionale musicalmente e non solo. Produsse l'album No Secrets contenente il suo successo storico You're so Vain (nel video in basso), brano che ancora oggi riecheggia nelle nostre case e in moltissimi spot e che secondo i pettegolezzi dell'epoca "denunciava" la vanità di Mick Jagger dei Rolling Stones con cui aveva avuto una relazione, secondo altre fonti, di Warren Beatty o Cat Stevens. Questo fa pensare a quanto era ambita questa bellissima donna e soprattutto quanti grattacapi creava ai paparazzi. Nello stesso anno sposò il grande cantautore James Taylor con cui ebbe due figli. Negli anni successivi, Carly continuò ad avere grande riscontro tra il pubblico alternando album di grande successo ad altri meno felici. Agli inizi degli anni '80 attraversò un periodo di declino artistico che fu influenzato anche dalla separazione dal marito James e dalla malattia del figlio Ben. Ma da questo periodo seppe riprendersi; nel giro di pochi anni riuscì a fare incetta di nomination e vittorie ai Grammy Awards aiutata anche dalla presenza delle sue canzoni nelle colonne sonore di molti film. Già nel 1977 c'era stato questo connubio musica-cinema con Nobody Does it Better, colonna sonora di James Bond Agente 007 la spia che mi amava. Nel 1986, invece, la famosissima Coming Around Again canzone romantica che spopolò tra le coppiette nelle Fiat Uno e nei cinema con il film Affari di Cuore. E nel 1988, oltre al Grammy, arrivò anche un Oscar per la migliore canzone nel film Una donna in carriera, con il brano Let the River Run. Carly Simon per concludere il suo iter musicale, da qualche anno compone canzoni per bambini regalando anche a loro la meraviglia e la favola che trasmette la sua voce incantevole.

lunedì 20 aprile 2009

La rivoluzione Punk Rock: The Clash


Lustrini, pailettes, trucco, teatralità…ricordate? Parlavamo di questo, riferendoci al Glam Rock, qualche giorno fa.
Ebbene, scordatevi tutto!! Ora si parla di Punk!
Proprio intorno al ’75-’76 (prendendo comunque spunto da sonorità sviluppatesi già dalla fine degli anni ‘60), mentre il Glam ormai era in declino, nacque, quasi a fare da antagonista a questo genere, il fenomeno Punk Rock.
All’ estrema spettacolarità e agli arrangiamenti baroccheggianti del primo infatti, si contrapposero “abiti di scena” minimalisti (t-shirt tagliate, pantaloni in pelle) e musica di forte impatto, ma caratterizzata da suoni e accordi molto scarni.
Sviluppatosi prima negli Stati Uniti, con i Ramones, primo gruppo Punk che la storia riconosca, ebbe però maggior successo nel Regno Unito, dove si contraddistinse soprattutto per i testi perlopiù politicizzati.
Qui a rompere il ghiaccio furono i Sex Pistols, che pur riscuotendo molto successo, pubblicarono solo tre album e quattro singoli, tra i quali “Anarchy in the U.K. ” e una versione oltraggiosa dell’inno nazionale inglese “God Save The Queen”.
Ma il gruppo che a detta di molti, rappresentò il Punk nel modo migliore e più alto, fu sicuramente quello dei Clash.
Joe Strummer (voce e chitarra), Mick Jones (voce e chitarra solista), Paul Simonon (voce e basso), Topper Headon (batteria), principali componenti e fondatori della band formatasi nel 1976, come i Pistols facevano della politica il tema principale su cui basare i loro testi.
Ma mentre i primi avevano una visione molto più pessimista, anarchica, rivolta ad annullare il sistema, i Clash invece si esprimevano con dei toni molto più propositivi e con idee rivoluzionarie, di sinistra.
Idee che si riscontrano già nel loro primo album omonimo, ma che emergono soprattutto nei successivi “London Calling” (dirompente il successo della title track), “Sandinista!” e “Combat Rock”, quest’ultimo contenente hits come “Rock the Casbah” e “Should I Stay Or Should I Go”.
E ammirevole fu poi il fatto che, queste ideologie, oltre ad essere espresse nella loro musica, costituivano anche la loro filosofia di vita.
Prova ne fu ad esempio il fatto che anche all’apice del loro successo, sia i loro dischi che i biglietti dei concerti, avevano sempre un prezzo molto ragionevole e infatti, in questo modo, nessun membro della band guadagnò mai cifre esorbitanti.
Ma tutto ciò non servì a scongiurare tensioni e problemi di vario genere all’interno della formazione, che dopo vari abbandoni e sostituzioni, si sciolse definitivamente nel 1986.
Ne seguirono poi varie voci per una eventuale reunion, mai confermate. Voci che comunque non cessarono, fino purtroppo al 2002, anno in cui Joe Strummer morì stroncato da un infarto, all’età di cinquant’anni.
Non morirà mai invece la sua musica, la musica dei Clash, che dopo aver rivoluzionato il rock e influenzato lo stile di molte band moderne, ancora oggi ci regala ad ogni ascolto emozioni uniche.



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